giovedì 6 febbraio 2020

Il fumetto secondo Beaujean


Trovate qui sotto, tradotte come ho potuto, le dichiarazioni di Stéphane Beaujean, direttore artistico del Festival di Angoulême, sullo stato di salute del Fumetto (o meglio della Bande Dessinée) e sulle prospettive del settore per editori e autori.
In una sua lunga e interessante intervista rilasciata a Franceinfo, interrogato sull'attuale successo del fumetto, ne spiega così i motivi:
"Il primo è economico. Il fumetto per un secolo è stato disprezzato e considerato roba da ragazzi. Quando, alla fine del secolo scorso, ha cominciato a diversificarsi sia per generi che per pubblico grazie all'arrivo di case editrici indipendenti, è riuscito a raggiungere tutto un pubblico al quale non si era mai rivolto. Questo fenomeno è durato vent'anni, dal 1995 al 2015, e i suoi effetti perdurano ancora, conquistando nuovi territori nelle librerie generaliste come prima non succedeva. Ma non è solo questo: c'è anche il dinamismo del mercato francofono, il solo che importa le culture di tutto il mondo. Se degli autori nascono In Israele, in Brasile o da qualsiasi altra parte e trovano spazio nella nostra editoria, questo apre ancora nuovi territori. Questo prova che l'apertura culturale, l'apertura al mondo è un buon motore economico."


Alla domanda se il Fumetto sarà l'arte del XXI secolo, Beaujean risponde negativamente:
"Siamo entrati nell'era del digitale, e credo che le nuove forme d'espressione che verranno saranno digitali. Però queste non ci sono ancora, e nell'attesa c'è un vuoto. E in questo vuoto, ci sono forme di espressione capaci di occuparlo. Credo che il fumetto sia ben avviato per riempire questo posto vacante, giacché siamo in un periodo di transizione, in termini di linguaggio. Con la rivoluzione digitale è cambiato il modo di fare comunicazione, che passa sempre più attraverso l'immagine. Non mi meraviglia perciò che il fumetto sia di moda in questo momento, e non è detto che debba tramontare quando appariranno le nuove espressioni digitali che dicevo."


L'intervistatore gli chiede come si spiega la concomitante buona salute dell'editoria a fumetti e la crescente sofferenza degli autori:
"Bisognerebbe fare una riflessione sulla catena del libro. Se si guarda la ripartizione nella catena del libro nel secolo trascorso, si nota che la parte di ridistribuzione attribuita alle diverse maglie è evoluta nel corso del tempo. Una volta stampare un libro costava caro, oggi costa molto meno; prima bisognava stampare 30.000 copie per avere un guadagno, oggi spesso basta stamparne 3000; le librerie prendevano una certa percentuale, come i distributori... editore, stampatore, distributore, libreria... la percentuale di ognuno variava in funzione dei cambiamenti dell'industria. L'unica percentuale che non è mai cambiata è quella del diritto d'autore. Bisogna fare uno studio, su questo fenomeno."

E aggiunge:
"Come autore, sei un 'mercenario': vendi i tuoi servigi al miglior offerente. E non sei un salariato. Nello stesso tempo sei libero. Dal momento che i mercenari diventano troppi, però, la situazione si complica. Allora, si può fare come negli Stati Uniti (e come in Italia, per quello che riguarda la produzione seriale da edicola, NdR) dove non sei più un autore, ma un esecutore che lavora per un'impresa che gli dice cosa scrivere e disegnare. E se non sei contento, è il produttore che ha ragione. E' un modello di creazione industriale che garantisce degli introiti decenti. Ma se vuoi essere libero la situazione si complica, nel momento che ci sono troppe persone nella stessa condizione. Un autore guadagna in funzione delle vendite del libro. Ma circa il 70% dei libri non sono redditizi. Questo significa che la funzione "mutualistica" dei guadagni dell'editore è significativa, poiché si può dire che il 30% dei libri mantiene il 100% degli autori."


Al giornalista che gli chiede se una regolamentazione dei compensi potrebbe aiutare, Beaujean dice:
"Oggi, è triste ma occorre farsene una ragione, se si mettono in campo dei sistemi per regolamentare gli investimenti dell'editore o quelli della catena del libro, molti autori resteranno senza lavoro. In questi ultimi vent'anni i costi di produzione del libro sono calati molto, consentendo agli editori di ridurre il proprio rischio. Ma per abbassarlo davvero, l'editore deve ridurre anche il costo dei diritti d'autore. Vent'anni fa, se un editore non era più che convinto del valore di un autore, non avrebbe stampato il suo lavoro, perché anche solo stamparlo sarebbe costato troppo. Oggi, anche senza essere troppo convinto, l'editore si dice 'vabbe', se non mi costa troppo caro, ci posso provare'. E così ci ritroviamo in una situazione nella quale gli editori rischiano, ma cercando di farsi meno male possibile. E per questo l'autore deve costare poco. Dunque, se si obbliga l'editore a pagare meglio l'autore, lui semplicemente deciderà di non prendersi il rischio. Un sacco di autori che oggi arrivano a essere pubblicati, non lo saranno più. Non saranno pagati meglio, di fatto non avranno più lavoro."


L'intervistatore chiede se questa non è una scusa degli editori per sottopagare gli autori.
"No, è la realtà. Nessuno può obbligare un editore a pubblicare. E se viene obbligato a pagare di più gli autori, smette di pubblicare quelli di cui non è sicuro. Poi, ci si può domandare se questo è un male. Questo porterebbe ad avere una produzione più mirata, e soprattutto più sostenuta. Perché stampare un libro non serve a niente, se non lo sostieni opportunamente impiegando risorse nel marketing, nella comunicazione ecc.; cosa che non puoi fare se hai deciso a priori di non rischiare troppo, mentre pubblichi molto. Così ci ritroviamo in una situazione in cui ci sono molti autori mal pagati che fanno dei libri che hanno pochissime speranze di vendere perché gli editori non possono permettersi di sostenerli come si dovrebbe. E non sono gli editori, la causa di questa situazione. Guardiamo la catena del libro: oggi le librerie possono ordinare tutti i libri che vogliono, e metterne in resa altrettanti, creando un meccanismo in cui si stampa, si stampa e quello che non si vende si rispedisce indietro. Così nemmeno il libraio ha motivo di sostenere i libri che ordina; anche lui non si prende rischi. Questo non esiste in nessun altro tipo di commercio: se compri dei maglioni e poi non li vendi, li metti in saldo. Che nessuno rifletta sulla perversione di questo meccanismo mentre la produzione si è moltiplicata per 7, o sul fatto che i diritti degli autori sono gli stessi dell'inizio del secolo scorso, mi sembra folle. Se le altre maglie della catena si sono ripartite diversamente i benefici lungo tutto il secolo scorso, come mai gli autori non sono mai stati invitati a questa ridistribuzione? Si è ritenuto che non fosse necessario consultarli, e invece bisognava farlo. Gli editori non l'hanno fatto non perché sono malvagi, ma perché sono gente pragmatica che agisce giorno per giorno.
La legge di Jack Lang del 1984-85 ha permesso sul momento di proteggere l'economia del sistema del libro, ma non sono sicuro che quei meccanismi siano utili ancora oggi. Non dico che lo siano o non lo siano, dico che è un problema che andrebbe studiato."

Quanto alla soluzione, Beaujean è lapidario:
"L'unica soluzione è la decrescita in termini di produzione. Per vent'anni c'è stata una crescita data dai fenomeni industriali: calo dei prezzi di produzione, arrivo dei manga che portano grande redditività... quando il 15 o il 18% viene dai manga, si creano dei benefici che gli editori possono investire nella creazione, ma il sistema editoriale non è coordinato come servirebbe: dovrebbe scegliere meglio i libri che pubblica, accompagnarli meglio lungo il percorso commerciale, avere un dialogo maggiore con gli autori per ottimizzare la realizzazione, accordando più tempo e più risorse alla creazione."








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